Mi è capitato qualche giorno fa. Stavo scrollando X (il fu, Twitter), come capita spesso: né curioso, né distratto, solo in quella terra di mezzo in cui la mente vaga e le dita scorrono. E poi, eccolo lì. Un video. Nessun filtro, nessun effetto. Solo un mega logo a rivendicarne il possesso di “Gabinando”. Non chiedermi di che si tratta perché non sono stato abbastanza curioso da approfondire (MALE).
Leo ha nove anni. La maglia è troppo larga, la mezza manica gli arriva dopo il gomito, i pantaloncini gli cadono quasi sulle ginocchia. I calzettoni risalgono fin dove possono, ma sembrano volerlo coprire più che sostenere.
Il pallone? Quello, no. Quello è al suo posto. Lo tiene in aria come se fosse parte del suo corpo. Collo del piede mancino. Coscia. Coscia. Ancora collo. Di nuovo mancino. Mai destro. Non serve. Ne farà 63. Il video puoi gustartelo qui.
Il bello è vedere questa piccola pulce “haciendo jueguitos” non curante delle decine di migliaia di occhi che ha addosso. Ad un certo punto, dagli spalti parte un coro.
“Maradoooo… Maradoooo…”
Quel bambino è Lionel Messi. E ti viene quasi da sorridere. Perché lì, in quel momento, nessuno poteva sapere. Eppure qualcuno — o qualcosa — sembrava averlo già intuito.
Riguardo quel video più volte. Non riesco a staccarmene. Non per la qualità delle immagini — è sgranato, tremolante, anni ’90 fino al midollo. Non per la folla, né per il gesto tecnico. Ma per quello che rappresenta.
C’è una teoria, semplice ma potente: che non tutto sia caso. Se non l’avessi capito io perdo le giornate dietro al senso della vita. Perché siamo qui? Te lo sei mai chiesto? Vabbè qui però stiamo dilagando, torniamo a Leo. A volte ci sono eventi che si incastrano con una precisione talmente assurda da sembrare scritti. Ci sono storie troppo perfette per essere solo una coincidenza.
E questa, forse, è una di quelle.
Trent’anni dopo, quel bambino è diventato il migliore. Non uno dei migliori. Il migliore. E mi fa strano scriverlo perché sono cresciuto in una casa dove papà e tifoso del Napoli che ha vissuto Diego. Per papà Diego è inarrivabile, è stato troppo oltre al Calcio. Io ti credo, Pà. Intravedo sempre quel fuoco negli occhi quando ne parli. Ma concedimi che Leo, almeno per qualche secondo, a volte, mi fa dubitare di tutto ciò.
Lionel Andrés Messi Cuccittini.
Nato e cresciuto in un quartiere qualsiasi di Rosario, con un campo vicino, una nonna che lo adorava e un problema ormonale che rischiava di fermarlo prima ancora di cominciare. Un bambino troppo piccolo per il mondo del calcio. Troppo educato per il cinismo dei procuratori. Troppo silenzioso per i titoli dei giornali.
Eppure, nessuno è riuscito a fermarlo. Ci sono storie che hanno bisogno di tempo per essere capite. Messi è una di quelle.
Per anni lo abbiamo guardato fare cose impossibili, saltare difensori come birilli,
correre senza mai sembrare affannato, segnare senza nemmeno caricare il tiro.
Un calcio che non sembrava nemmeno sport: sembrava intelligenza applicata alla bellezza.
Ma quel video — quello dei nove anni — è il punto zero. Il seme. Il “prima” che già conteneva tutto il “dopo”.
E guardandolo, torna in mente quella frase:
“Non può essere solo una serie fortunata di eventi.”
Non può. C’è troppo ordine. Troppa coerenza. Troppa poesia.
Chiamalo Dio, chiamalo destino, chiamalo energia, ma a volte, la vita sembra voler lasciare un indizio chiaro. Guarda qui. Guarda bene. Perché questo non succede tutti i giorni.
C’è anche un’altra cosa, guardando quel video: Messi non sta giocando col pallone. Non sta facendo show, né cercando approvazione. Semplicemente, sta facendo quello che ama. Come se fosse solo, anche in mezzo alla folla. Come se il pallone fosse una compagnia silenziosa che lo capisce meglio di chiunque altro.
E questa, forse, è la parte più pura. Perché prima della gloria, prima dei trofei, prima della nazionale e dei Palloni d’Oro, c’era questo: un bambino di nove anni che non vuole stupire, ma essere.
Oggi, quando guardiamo Messi, vediamo l’icona. Il simbolo. La leggenda. Vediamo l’uomo che ha vinto tutto. Quello che ha battuto record su record, che ha fatto impazzire il Camp Nou e piangere il Qatar. Vediamo la foto con la Coppa del Mondo in mano, sulle spalle di un compagno, circondato da un Paese intero che ha finalmente potuto dire: “È lui. Ce l’abbiamo fatta.”
Ma quella grandezza — quel momento sospeso che ci ha unito tutti — nasce lì, in quel campo polveroso, in un pomeriggio qualsiasi, dove un bambino palleggia come se il tempo non esistesse. E la gente, attorno, canta il nome di un altro. Come se, per un attimo, sapesse già tutto.
Io non so se il destino esista. Non so se la vita segua un disegno scritto da qualcun altro, o se siamo solo molecole in movimento, a cui ogni tanto capita di trovare la forma giusta. Però quel video… quel minuscolo frammento di tempo congelato… mi fa venire il dubbio.
Mi fa pensare che magari, solo ogni tanto, il caso decida di fare bene il proprio lavoro. E ci regali qualcosa che somiglia moltissimo a un miracolo.
ANGOLO SORARE
Se oggi, nel 2025, quel Leo di nove anni fosse su Sorare, sarebbe una Limited da custodire con religione. Una Rare da non scambiare mai. Una Super Rare da mettere in formazione anche solo per guardarla lì, tra le altre, e pensare: “Lui è diverso.” Perché il calcio è cambiato, sì. Ma certe storie restano. E anche nel futuro digitale, ogni tanto, vale la pena ricordare da dove siamo partiti: un bambino, un pallone, una tribuna che canta il nome sbagliato… e un destino che, forse, aveva già scelto tutto.
Leo lo trovi nella versione limited a questo prezzo. Ti dico che schierarlo in formazione ti fa venire la “piel de gallina”. Se vuoi approfondire la questione Sorare ti basta cliccare sulla parola GUIDA e ti si aprirà la guida completa.
tvb, Edo